Per la produzione del racconto vi consigliamo l'incipit:
Eravamo appena entrati in macchina felici di allontanarci dalla città
Buon lavoro a tutti
martedì 12 maggio 2009
martedì 5 maggio 2009
E ora proviamo a scrivere un breve racconto…
Qui di seguito diamo alcuni incipit per dare inizio ad una storia:
1- Tommaso era molto alto, magrissimo, a volte poteva sembrare un po’ strano, ma era anche il mio migliore amico…
2- Mi stupii che fosse venuta da me, la feci entrare. Volevo essere educata ma non gentile, le dissi di sedersi e aspettai che parlasse…
3- Non pensai nemmeno a quello che sarebbe successo dopo che me ne fossi andato: ero semplicemente furioso
Qui di seguito diamo alcuni incipit per dare inizio ad una storia:
1- Tommaso era molto alto, magrissimo, a volte poteva sembrare un po’ strano, ma era anche il mio migliore amico…
2- Mi stupii che fosse venuta da me, la feci entrare. Volevo essere educata ma non gentile, le dissi di sedersi e aspettai che parlasse…
3- Non pensai nemmeno a quello che sarebbe successo dopo che me ne fossi andato: ero semplicemente furioso
martedì 28 aprile 2009
Genere Letterario : Il diario
Il Diario
Una cronaca degli avvenimenti della propria vita è il diario, parola che significa “di ogni giorno”. Nel diario personale si esprimono i propri sentimenti più nascosti, le idee, le aspirazioni, le osservazioni, scritte più per riflettere in quel momento che per comunicare qualcosa a qualcuno.
Il diario pertanto è una cronaca ricca di emozioni personali i cui testi sono realizzati a scadenze fisse oppure quando si ha voglia di scrivere.
Nel diario l’autore, il protagonista e il destinatario coincidono; gli avvenimenti sono scritti man mano che accadano con uno scarto temporale minimo tra l’accadere degli eventi e la loro registrazione.
Questo testo è una pagina di diario di una ragazzina che cerca di impedire alla mamma di leggere il suo diario.
Giovedì notte, ore 24
Caro diario,
sono davvero furiosa. Ancora una volta la mamma ti ha trovato. Lo so perché ieri sera, prima di chiuderti, avevo nascosto tra le tue pagine un coriandolo. Ora non c’è più, è volato via,segno che l’impicciona ti ha sfogliato scoprendo tutti i miei segreti. Deve essere successo stamattina mentre ero a scuola. E’ il terzo nascondiglio che cambio in un mese. (…)
Ti rendi conto che la mamma ha visto la foto di Nicola appiccicata sulla pagina, quella che ho rubato dal suo zaino a ricreazione? E che di conseguenza ha letto i commenti su di lui ?
Lo sai che vuol dire? Che la prima volta che mia madre chiama quella di Nicola, l’insopportabile signora Perini, le spiffera tutto e di conseguenza la Perini lo va a dire a suo figlio. A quel punto sono spacciata perché dopo tre secondi lo sa tutta la scuola.
Mi vengono i brividi solo a pensarci… Ma perché quella viscida bugiarda intrigante subdola di mia madre non si fa i fattacci suoi? Ti giuro, caro diario, che, fosse pure l’ultima azione della mia vita, la punirò duramente e stavolta in modo definitivo. Fammi riflettere… Ci vuole una vendetta crudele ma allo stesso tempo raffinata.
Ora, però, vado a dormire perché sto morendo di sonno. Stavolta ti nascondo nella capannuccia del presepe.
Chiara Rapaccini, M’ama, ed. Buena Vista
Presentiamo due pagine del Diario di Anne Frank, del 25 e 26 maggio 1944.
Giovedì 25 maggio 1944
Cara Kitty,
ogni giorno una novità. Stamane è stato arrestato il nostro verduriere: aveva due ebrei in casa. E’un grave colpo per noi; non soltanto quei poveri ebrei sono di nuovo sul’’orlo dell’abisso, ma è una cosa terribile anche per l’uomo.
Il mondo va alla rovescia; le persone rispettabili sono spedite in campi di concentramento, in prigione e in celle isolate, mentre la schiuma governa su ricchi e poveri, giovani e vecchi. L’uno si fa prendere per il mercato nero, l’altro perché aiuta ebrei e clandestini; nessuno che non stia nel Partito Nazista sa quel che l’attende domani. (…)
Venerdì 26 maggio 1944
Cara Kitty,
Finalmente, finalmente posso sedermi tranquilla al tavolino davanti allo spiraglio della finestra e scriverti tutto, tutto.
Mi sento così infelice come mai mi sono sentita da mesi: nemmeno dopo la visita dei ladri ero così accasciata di spirito e di corpo. Fino a quando potremo resistere a questa pressione quasi insopportabile e sempre crescente?
Siamo diventati molto più paurosi dopo la faccenda del verduriere; senti mormorare continuamente “sst, sst”, tutti si muovono piano. La polizia là ha forzato la porta, quindi neppure noi siamo più sicuri! E se un giorno anche noi… no, non posso scriverlo, ma non so liberarmi da questo dubbio, anzi la paura per cui sono già passata mi si ripresenta in tutto il suo orrore. (…)
Una cronaca degli avvenimenti della propria vita è il diario, parola che significa “di ogni giorno”. Nel diario personale si esprimono i propri sentimenti più nascosti, le idee, le aspirazioni, le osservazioni, scritte più per riflettere in quel momento che per comunicare qualcosa a qualcuno.
Il diario pertanto è una cronaca ricca di emozioni personali i cui testi sono realizzati a scadenze fisse oppure quando si ha voglia di scrivere.
Nel diario l’autore, il protagonista e il destinatario coincidono; gli avvenimenti sono scritti man mano che accadano con uno scarto temporale minimo tra l’accadere degli eventi e la loro registrazione.
Questo testo è una pagina di diario di una ragazzina che cerca di impedire alla mamma di leggere il suo diario.
Giovedì notte, ore 24
Caro diario,
sono davvero furiosa. Ancora una volta la mamma ti ha trovato. Lo so perché ieri sera, prima di chiuderti, avevo nascosto tra le tue pagine un coriandolo. Ora non c’è più, è volato via,segno che l’impicciona ti ha sfogliato scoprendo tutti i miei segreti. Deve essere successo stamattina mentre ero a scuola. E’ il terzo nascondiglio che cambio in un mese. (…)
Ti rendi conto che la mamma ha visto la foto di Nicola appiccicata sulla pagina, quella che ho rubato dal suo zaino a ricreazione? E che di conseguenza ha letto i commenti su di lui ?
Lo sai che vuol dire? Che la prima volta che mia madre chiama quella di Nicola, l’insopportabile signora Perini, le spiffera tutto e di conseguenza la Perini lo va a dire a suo figlio. A quel punto sono spacciata perché dopo tre secondi lo sa tutta la scuola.
Mi vengono i brividi solo a pensarci… Ma perché quella viscida bugiarda intrigante subdola di mia madre non si fa i fattacci suoi? Ti giuro, caro diario, che, fosse pure l’ultima azione della mia vita, la punirò duramente e stavolta in modo definitivo. Fammi riflettere… Ci vuole una vendetta crudele ma allo stesso tempo raffinata.
Ora, però, vado a dormire perché sto morendo di sonno. Stavolta ti nascondo nella capannuccia del presepe.
Chiara Rapaccini, M’ama, ed. Buena Vista
Presentiamo due pagine del Diario di Anne Frank, del 25 e 26 maggio 1944.
Giovedì 25 maggio 1944
Cara Kitty,
ogni giorno una novità. Stamane è stato arrestato il nostro verduriere: aveva due ebrei in casa. E’un grave colpo per noi; non soltanto quei poveri ebrei sono di nuovo sul’’orlo dell’abisso, ma è una cosa terribile anche per l’uomo.
Il mondo va alla rovescia; le persone rispettabili sono spedite in campi di concentramento, in prigione e in celle isolate, mentre la schiuma governa su ricchi e poveri, giovani e vecchi. L’uno si fa prendere per il mercato nero, l’altro perché aiuta ebrei e clandestini; nessuno che non stia nel Partito Nazista sa quel che l’attende domani. (…)
Venerdì 26 maggio 1944
Cara Kitty,
Finalmente, finalmente posso sedermi tranquilla al tavolino davanti allo spiraglio della finestra e scriverti tutto, tutto.
Mi sento così infelice come mai mi sono sentita da mesi: nemmeno dopo la visita dei ladri ero così accasciata di spirito e di corpo. Fino a quando potremo resistere a questa pressione quasi insopportabile e sempre crescente?
Siamo diventati molto più paurosi dopo la faccenda del verduriere; senti mormorare continuamente “sst, sst”, tutti si muovono piano. La polizia là ha forzato la porta, quindi neppure noi siamo più sicuri! E se un giorno anche noi… no, non posso scriverlo, ma non so liberarmi da questo dubbio, anzi la paura per cui sono già passata mi si ripresenta in tutto il suo orrore. (…)
martedì 21 aprile 2009
Nei giorni scorsi abbiamo fermato la nostra attenzione sul disastroso terremoto che ha colpito l'Abruzzo. Assieme abbiamo letto quanto si sta facendo per la ricostruzione e la ripresa della scuola cosa, questa, cui il Governo ha dato la massima priorità. Pubblicate i commenti che avete prodotto per partecipare a tutti il vostro pensiero.
Maria Ambra, Marina Bazzicalupo
Maria Ambra, Marina Bazzicalupo
martedì 31 marzo 2009
Cari ragazzi
Cari ragazzi,
vivacizzate il blog con i vostri commenti e le vostre creazioni. Leggete e commentate gli scritti dei vostri compagni!
Le Profffffff.
vivacizzate il blog con i vostri commenti e le vostre creazioni. Leggete e commentate gli scritti dei vostri compagni!
Le Profffffff.
martedì 24 marzo 2009
Autobiografia: La scuola
Elena Gianini Belotti, Pimpì oselì, Milano Feltrinelli 2002
Come ci si comportava a scuola
Gli scolari sono sessanta, come nelle altre classi. Il primo giorno di scuola la maestra ha assegnato i posti nei banchi, in ordine crescente di altezza: nella fila di sinistra le femmine, in quella di destra i maschi… In un angolo sul fondo, contro il muro, c’è il banco degli asini, nell’ultima fila i ripetenti
La signorina maestra passeggia su e giù per la classe e lascia dietro di sé una scia profumata di gelsomino. E’ bella la maestra, agile, snella, si muove di slancio, i polpacci frementi, come se fosse sempre sul punto di spiccare una corsa…
Per giorni e giorni spiega come ci si comporta a scuola: si entra senza far chiasso e con la bocca chiusa, si ripone la cartella sotto il ripiano del banco, ci si siede composti, le mani in prima ben distese e una accanto all’altra e si resta fermi e zitti. Lei sta ritta sulla cattedra, la mano sinistra sullo stomaco, la destra a mezz’aria sulla fronte – si deve sentire volare una mosca, dice – in attesa di dare inizio, con il segno della croce, alla preghiera del mattino.
All’appello si risponde “presente”scattando in piedi e alzando il braccio destro. Tutti confondono la destra con la sinistra, lei si ostina invano ogni giorno a farli esercitare perché arrivino a distinguere un braccio dall’altro. Insegna anche la buona creanza: quando la maestra entra in classe, ci si alza in piedi tutti insieme, si aspetta che ordini: seduti! E si risponde: grazie.(…)
I craponi che vengono a scuola solo per scaldare il banco, fanno scena muta all’interrogazione, si ostinano a parlare in dialetto,prendono insufficiente nei compiti o si addormentano mentre la maestra spiega, vengono esiliati nel banco degli asini. (…) Quando si arrabbia con chi fa chiasso, fa il burattino , parla col compagno di banco, allunga sberle che spellano la faccia – le levate dalle mani,voi, le sberle, grida. Più spesso usa appendere sulle spalle del colpevole un cartello con scritto : “asino” e lo manda in giro per la classe: i compagni sono autorizzati a ridere di lui finché la maestra non dice basta.
Domenico Starnone, Solo se interrogato, Milano Feltrinelli 2002
Autobiografia della vita scolastica
Andare a scuola fu per me innanzitutto un’espulsione subdola e violenta dalle pareti domestiche. Cominciai con qualche sortita in quello che all’epoca si chiamava asilo. Ricordo di quel posto solo il senso di abbandono , il panierino con le scodelle unte e i pianti che mi facevo senza strepiti, senza smanie, immobile, mentre certe bambine senza lacrime mi pettinavano e mi fermavano i capelli con le loro mollette.
Poi passai alle elementari. Il primo giorno di scuola nitidamente anticipato da lunghi preparativi domestici: mia madre mi cucì una cartella di tela grigia; mio padre ci dipinse da un lato un Pinocchio. Ma con quella cartella anomala dovetti apparire così diverso, che l’esperienza del primo giorno delle elementari è sintetizzata, nella memoria, soltanto da un forte desiderio di invisibilità. L’invisibilità più a portata di mano mi dovette sembrare subito il rispetto assoluto delle norme imposte dalla maestra. Infatti dopo le prime punizioni, dovute non al cattivo carattere, ma all’inesperienza, abituai il corpo all’immobilità nel banco, la bocca al silenzio e il cervello a pensare solo ciò che la scuola mi diceva di pensare. Da questo i maestri dedussero che avevo una particolare attitudine allo studio.
Mi convinsi presto che andare a scuola significava vivere annullandosi. Più facevi finta di non esserci, più ti lodavano con nomignoli e diminutivi.
Come ci si comportava a scuola
Gli scolari sono sessanta, come nelle altre classi. Il primo giorno di scuola la maestra ha assegnato i posti nei banchi, in ordine crescente di altezza: nella fila di sinistra le femmine, in quella di destra i maschi… In un angolo sul fondo, contro il muro, c’è il banco degli asini, nell’ultima fila i ripetenti
La signorina maestra passeggia su e giù per la classe e lascia dietro di sé una scia profumata di gelsomino. E’ bella la maestra, agile, snella, si muove di slancio, i polpacci frementi, come se fosse sempre sul punto di spiccare una corsa…
Per giorni e giorni spiega come ci si comporta a scuola: si entra senza far chiasso e con la bocca chiusa, si ripone la cartella sotto il ripiano del banco, ci si siede composti, le mani in prima ben distese e una accanto all’altra e si resta fermi e zitti. Lei sta ritta sulla cattedra, la mano sinistra sullo stomaco, la destra a mezz’aria sulla fronte – si deve sentire volare una mosca, dice – in attesa di dare inizio, con il segno della croce, alla preghiera del mattino.
All’appello si risponde “presente”scattando in piedi e alzando il braccio destro. Tutti confondono la destra con la sinistra, lei si ostina invano ogni giorno a farli esercitare perché arrivino a distinguere un braccio dall’altro. Insegna anche la buona creanza: quando la maestra entra in classe, ci si alza in piedi tutti insieme, si aspetta che ordini: seduti! E si risponde: grazie.(…)
I craponi che vengono a scuola solo per scaldare il banco, fanno scena muta all’interrogazione, si ostinano a parlare in dialetto,prendono insufficiente nei compiti o si addormentano mentre la maestra spiega, vengono esiliati nel banco degli asini. (…) Quando si arrabbia con chi fa chiasso, fa il burattino , parla col compagno di banco, allunga sberle che spellano la faccia – le levate dalle mani,voi, le sberle, grida. Più spesso usa appendere sulle spalle del colpevole un cartello con scritto : “asino” e lo manda in giro per la classe: i compagni sono autorizzati a ridere di lui finché la maestra non dice basta.
Domenico Starnone, Solo se interrogato, Milano Feltrinelli 2002
Autobiografia della vita scolastica
Andare a scuola fu per me innanzitutto un’espulsione subdola e violenta dalle pareti domestiche. Cominciai con qualche sortita in quello che all’epoca si chiamava asilo. Ricordo di quel posto solo il senso di abbandono , il panierino con le scodelle unte e i pianti che mi facevo senza strepiti, senza smanie, immobile, mentre certe bambine senza lacrime mi pettinavano e mi fermavano i capelli con le loro mollette.
Poi passai alle elementari. Il primo giorno di scuola nitidamente anticipato da lunghi preparativi domestici: mia madre mi cucì una cartella di tela grigia; mio padre ci dipinse da un lato un Pinocchio. Ma con quella cartella anomala dovetti apparire così diverso, che l’esperienza del primo giorno delle elementari è sintetizzata, nella memoria, soltanto da un forte desiderio di invisibilità. L’invisibilità più a portata di mano mi dovette sembrare subito il rispetto assoluto delle norme imposte dalla maestra. Infatti dopo le prime punizioni, dovute non al cattivo carattere, ma all’inesperienza, abituai il corpo all’immobilità nel banco, la bocca al silenzio e il cervello a pensare solo ciò che la scuola mi diceva di pensare. Da questo i maestri dedussero che avevo una particolare attitudine allo studio.
Mi convinsi presto che andare a scuola significava vivere annullandosi. Più facevi finta di non esserci, più ti lodavano con nomignoli e diminutivi.
Irreale:
Sono le 6:30 del mattino del 23 febbraio 1996, il tempo è sereno, e un altro bimbo, IO, è venuto al mondo, qui a Napoli.
Io sono il primogenito della mia famiglia , ma sono anche il primo nipote di 2 nonne.
Tutti i miei familiari aspettavano fuori la porta la notizia della mia nascita.
Mia madre aveva 18 anni, e quando si svegliò mi trovò in una culla vicino al suo letto.
Per tutto il giorno mia nonna rimase in ospedale vicino a mia madre per darle una mano, ma anche per vedere quanto ero bello (prima , ora non più).
Lo stesso giorno tutti i miei zii vennero a ’’conoscermi di persona ’’ , ma anche a dare gli auguri a mia madre.
Questo è quanto mi ha raccontato mia madre della mia nascita, ma l’unica cosa che mi sono dimenticato di domandarle è se mio padre mi avesse visto quando sono nato.
Gennaro Puccinelli
Sono le 6:30 del mattino del 23 febbraio 1996, il tempo è sereno, e un altro bimbo, IO, è venuto al mondo, qui a Napoli.
Io sono il primogenito della mia famiglia , ma sono anche il primo nipote di 2 nonne.
Tutti i miei familiari aspettavano fuori la porta la notizia della mia nascita.
Mia madre aveva 18 anni, e quando si svegliò mi trovò in una culla vicino al suo letto.
Per tutto il giorno mia nonna rimase in ospedale vicino a mia madre per darle una mano, ma anche per vedere quanto ero bello (prima , ora non più).
Lo stesso giorno tutti i miei zii vennero a ’’conoscermi di persona ’’ , ma anche a dare gli auguri a mia madre.
Questo è quanto mi ha raccontato mia madre della mia nascita, ma l’unica cosa che mi sono dimenticato di domandarle è se mio padre mi avesse visto quando sono nato.
Gennaro Puccinelli
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